Sentirli ancora

L’altra sera è successa una cosa strana, una di quelle che capitano poche volte, ma che quando capitano ti toccano profondamente.

Ero in macchina verso casa con Sofia, mia figlia, sulla via Sammartina, la via che facevo sempre con mio nonno Mario quando da casa mia tornavamo a casa appunto dei miei nonni, a S. Martino.

Arrivati a metà della via Sammartina, ho incominciato a vedere nitidamente la casa di mio nonno, ed in particolare come se io mi trovassi fuori dalla finestra della cucina, e ho iniziato a vedere la mia nonna in cucina, con il suo grembiule, cucinare qualcosa di buono e sentendo il profumo che sempre quella cucina aveva, di buono.

Ho visto il mio nonno in poltrona, in salotto, con la coperta appoggiata sopra la pancia, che chiamava la nonna per chiederle qualcosa. Ho risentito ancora il suo odore, che non riesco mai a dimenticare, e per un momento ancora li ho visti e sentiti come se fossero ancora lì.

Ho sperato che fosse tutto vero, che potessi fermare la macchina e portare a fargli conoscere Sofia, ma quando ho girato la curva in fondo alla via la sensazione è svanita e siamo tornati alla realtà.

È stato però bello sentire per un momento che ci fossero ancora, che fossero ancora lì, tranquilli nella loro casa, con il loro essere nonni, con la loro bellezza.

Una bellezza che però non cambia e non cambierà mai, anche se loro non ci sono più.

Il tennis cresce

Oggi iniziano le Atp Finals a Torino, e gioca già il nostro Sinner

Vedo per fortuna crescere tanto il tennis e il movimento che ne sta alla base, formato dai circoli, dalle ex Sat, da quelle che sono le innumerevoli iniziative in termini di tornei, dimostrazioni ecc, che provano anche a fare avvicinare sempre più bambini a questo meraviglioso sport

E vedo molta piu attenzione da parte delle persone comuni al tennis e ovviamente questo avviene grazie ai campioni, ormai Sinner più che Berrettini, che sappiamo aiutano a focalizzare attenzione e tifo nei loro confronti, essendo ormai stabilmente nei top ten

Lo vedo anche rispetto a persone assolutamente comuni, che non sono tennisti o appassionati, che fino a qualche tempo fa sbavavano dietro anche ad un Juventus-Empoli di coppa Italia, e che adesso invece magari hanno anche comprato i biglietti per andare a vedere a Torino dal vivo Sinner

E tutto questo non può che farmi piacere

Italia presa a pallate

Sto con Moni Ovadia che legittimamente dice la sua sul conflitto tra Israele e Palestina e viene inondato di odio, e si dimette

Sto con i CCCP e il loro 40ennale e il libro celebrativo che voglio acquistare

Sto con le Giornate di Bertinoro, che regalano sempre perle di interventi e spunti di visione su cui riflettere, Sacco su tutti come al solito

Non sto con l’Italia calcistica, che in questo momento si sta facendo prendere a pallate dagli inglesi….

Chicche da YouTube

Adoro guardare quei video su YouTube di gente che entra in uno Starbucks e si vede tutta quella gente con i propri laptop intenta a lavorare, una scena che in Italia non si vede quasi mai

Altra chicca è osservare a livello sociologico quella miriade di video, sempre su YouTube, fatti da studenti delle università americane, sulla vita quotidiana a Yale, Ucla, Harvard ecc.

Pennica bella

Ore 5.30: essere a Bologna, al Centro Mattei, per accogliere due ragazzi gambiani di 16 anni (e quindi partire da Ferrara alle 5), con arrivo previsto alle 6.00

Ore 6.00: il pullman è ancora a Barberino, almeno un’altra ora di attesa

Ore 7.00: il Folletti si è fatto una gran bella pennica di un’ oretta in macchina, e si aspetta il pullman

Auguri a noi

Oggi è il 2 giugno.
Per molti è la Festa della Repubblica, per altri è un ponte grazie al quale andare al mare, per altri è un giorno semplice di lavoro.

Per me e mia moglie è il giorno, bellissimo, in cui ci siamo detti 2 sì. Davanti ad un nostro caro amico sacerdote, che per me sarà sempre e solo Dondo. Lo abbiamo fatto nella Parrocchia nella quale io sono cresciuto, S. Agostino, al centro del mio quartiere, il Krasnodar. Lo abbiamo fatto con tutti i nostri cari, con ancora i miei nonni, e con il mio nonno che ha accompagnato mia moglie all’altare, emozionato e con la paura di fare brutta figura.

Mi ricordo che appena arrivato al mio posto davanti all’altare, dopo che mia mamma mi aveva detto venti volte almeno di andare piano durante il percorso per arrivarci, ho subito iniziato a sentire tutti i miei parenti piangere. Mi ricordo infatti di aver sentito tirar su con il naso e soffiarlo per metà cerimonia 🙂

E’ stata una celebrazione bellissima per me e per la mia meravigliosa sposa, la più bella di tutte, con quel sorriso che mai scorderò. Con la lettura del capitolo 25 del Vangelo di San Matteo, con quella messa un pò in italiano e un pò in tedesco, con il fatto di essere semplicemente felici di esserci detti “sì” per sempre.

Ma poi è successa la cosa ancora più bella, quella per la quale capisci che l’amore si trasforma e cambia ma rimane sempre amore: è nata Sofia, nel 2010, in un giorno incredibile di neve.

E quando stamattina ci siamo svegliati, con lei come ogni mattina arrivata alle 6 per intrufolarsi in mezzo a noi nel lettone e avvinghiarsi alla sua mamma, lei ci ha guardati entrambi e ci ha sussurrato semplicemente: “Auguri, buon anniversario. Vi voglio bene”.

E allora abbiamo proprio capito che il nostro amore è diventato una cosa stupenda, una creatura per la quale ringraziamo ogni giorno il Signore di avercela data, il nostro regalo più bello.

Per mia moglie, che ancora ad oggi non ha un account Facebook e che però per fortuna lo guarda grazie al mio, dico solo che la amo, esattamente come l’ho amata in quella fredda serata di luglio 1997 a Rivazzurra di Rimini dove tutto è cominciato, e anche se gli acciacchi reciproci iniziano a ricordarci che non abbiamo più vent’anni, il nostro amore è esattamente lo stesso, bastandoci uno sguardo di Sofia per ricordarcelo. Ti amo, buon anniversario amore mio.

“Dove si va, la prossima volta?” (E. Brizzi)

Il pezzo che segue è la conclusione del libro di Enrico Brizzi “L’estate del gigante. Viaggio a piedi intorno al Monte Bianco”, che ho terminato oggi di leggere con grande gusto.

E il pezzo che segue per me è eccezionale nel rappresentare la bellezza del cammino e della scoperta, della montagna e dei suoi incanti:

“Nove giorni fa siamo arrivati a Courmayeur grazie a una cervellotica combinazione di coincidenze ferroviarie e su gomma, preoccupati dal peso dello zaino e delle incognite del viaggio.

Ripartiamo dalla cittadina valdostana dopo aver concluso il nostro periplo, abbronzati all’inverosimile e con la sensazione che i nostri bagagli si siano fatti più leggeri. Per rientrare alla cosiddetta civiltà, basterà una corsa su un pullman verde che Doc ha individuato in rete. Sarà molto meno pittoresco del postale svizzero col suo corno a tre toni, e nel giro di qualche ora ci scaricherà tutti insieme all’autostazione milanese di Lampugnano, un luogo che d’estate appare invariabilmente caldo, malfrequentato e sporco all’inverosimile.

Lì ci separeremo. Per arrivare alle rispettive abitazioni, a qualcuno basterà una corsa in metropolitana, mentre altri dovranno viaggiare fino ad una stazione ferroviaria, affidandosi chi a un treno regionale e chi a un collegamento più veloce. In un modo o nell’altro, per stasera saremo tutti a casa, e torneremo ad essere padri, mariti, mogli, fidanzati, oppure uomini e donne perfettamente soli.

Sono sicuro che tutti quanti, ciascuno secondo i patti e le necessità cui ha ispirato la propria esistenza, domani proveremo la sensazione rassicurante e infingarda di sollievo che ci verrà dal non dover camminare. Lo zaino, svuotato con lungimirante diligenza o gettato in un angolo e ancora colpevolmente pieno di vesti puzzolenti, accessori e carte spiegazzate, non avrà bisogno di essere portato da nessuna parte; la fatica ci sarà risparmiata, e ne proveremo una gioia vigliacca.

Basteranno poche ore, tuttavia, perchè si faccia largo in noi un senso di mancanza, una nostalgia specifica, una malinconia sottile che si gonfierà facendosi sempre più scura e minacciosa, come la pancia d’una nuvola che porta tempesta.

Pian piano, mentre saremo intenti alle nostre occupazioni, ci appariranno di nuovo le pareti e i ghiacciai, i prati verdissimi, l’attesa curiosa dei camosci e il profilo del Gigante contro il cielo puro delle Alpi. Tornerà a farci compagnia anche quello che non si vede con gli occhi, la consapevolezza di essere migliori quando si è pellegrini sulla terra, liberi di passare le giornate camminando nel vento, rispetto a quando ci illudiamo di essere al sicuro, prigionieri di una armatura di convenzioni e cerimonie pesante al punto che ogni movimento costa caro, e la vita che viviamo non pare più la nostra.

Presto, quasi subito, tempo di contare fino a tre, e ci torneranno in uggia i semafori e le raccomandate, i meme virali che riceviamo sui gruppi WhatsApp, la settimana che dura cinque giorni più due di weekend, la televisione che nel 2020 manda ancora Bruno Vespa e i reality show fasulli, la connessione Bluetooth che non funziona come dovrebbe, i libri di cui tutti parlano e i black friday, gli sconti del dieci per cento riservati a chi si iscrive alla newsletter, l’ennesima password che non abbiamo annotato da nessuna parte, le raccolte punti del supermercato e tutto il resto di usi, costumi e luoghi comuni che consumano il nostro tempo.

Torneremo stanziali, inchiodati come farfalle al pannello d’un entomologo, e la rabbia che proveremo sarà quella dei prigionieri e dei truffati, almeno fino a quando non ci apparirà nella nebbia una fitta lama di luce, e con quella l’azzurro intenso e puro del cielo che ha riempito i nostri occhi in questi giorni; allora vorremmo tornare a respirarlo, per provare qualcosa che torni a farci stare bene, e nelle nostre teste risuonerà una domanda. La domanda.

Lo so perchè ci sono già passato molte volte, e mi spiace vedere i musi lunghi di quanti fra i miei compagni ancora non riescono a porsela. Così, per alleviare le loro sofferenze, vado al dunque e la pronuncio per loro.

“Dite un pò, Buoni Cugini”, richiamo la loro attenzione.

“Dove si va, la prossima volta?”

I gggiovani

I giovani che da qualche giorno sono elogiati per il proprio attivismo per aiutare concretamente la #Romagna a rialzarsi, pulendo strade e quant’altro, sono gli stessi che fino all’altro giorno tutti additavano come gli sdraiati, i fannulloni e gli irrecuperabili.

In realtà, sono i primi a capire non solo la gravità di una situazione che da decenni era anticipata da innumerevoli studiosi oltre che illuminati politici (vd. #Langer), ma anche i primi a sentire come esiziale per la loro stessa sopravvivenza il fare qualcosa.

Povera Romagna, povera natura

Enrico Brizzi, nel suo “L’Estate del Gigante. Viaggio a piedi intorno al Monte Bianco”, ben descrive il senso di quanto sta accadendo in questi giorni nella nostra martoriata Romagna:

“La natura, in ultima analisi, vive in sè, ma è l’uomo a darle un senso grazie alla propria facoltà di pensare e immaginare”.

Ecco, nel nostro caso, la “facoltà di pensare e immaginare” non si è in realtà interrotta, ma è stata “semplicemente” deviata e piegata a destini crudeli e tendenti unicamente al profitto e alla “estrazione del e dal territorio”, abbandonando quindi la propria finalità di “dare un senso” alla natura.

La provincia vecchia, vecchia, vecchia

Spettacolare Stefano Massini su Robinson di questa settimana:

Marta Cai segue lo stesso metodo, e nel farlo si attiene a una linea di trama accennata, tratteggiata, più simile a uno schizzo che a un disegno compiuto, perchè il vero fulcro del suo scrivere sta nello squadernare l’entroterra nostrano di quella provincia vecchia, vecchia, vecchia, calcificata nei riti, sclerotizzata nelle consuetudini di scaloppine, pastine in brodo e televisori col volume altissimo in pieno giorno, attendendo l’ebbrezza di un sabato pomeriggio alla concessionaria Fiat o dal parrucchiere in centro“.

(dalla recensione del libro di esordio di Marta Cai, “Centomilioni”, Einaudi)

Forza magica Spal

Oggi Facebook (detto “Fazadalibar” in ferrarese) mi ricorda ovviamente che 6 anni fa la Spal veniva promossa in serie A. Mi fa rivedere le foto di quella bellissima giornata di festeggiamenti in città, che feci con la mia famiglia, con la mia bimba sulle spalle, contento come un bambino per aver coronato un sogno che non avrei mai immaginato di poter vedere, la mia Spal tra i grandi.

Un risultato che era stato prodotto da una società seria, di persone che conoscevano a menadito il territorio e le sue dinamiche ma anche il calcio, acquisti calibrati di gente con gli attributi, uomini spogliatoio attaccatissimi alla maglia, una curva e un popolo riportato finalmente allo stadio a grandi numeri con entusiasmo e passione mai sopita, investimenti che mano a mano (che piaccia o meno) hanno consegnato uno stadio in mezzo alla città come se ne vedono pochi di così belli, un centro sportivo di ottima qualità, merchandise finalmente vendibile e risultati che anche dopo la promozione per qualche anno sono stati ottimi (abbiamo battuto la Juve, la Roma, ci siamo salvati ecc).

Poi è vero, c’è stato il COVID, c’è stata una annata disgraziata e siamo retrocessi, la società (che lo aveva già preannunciato negli anni precedenti) ha voluto uscire e ci siamo ritrovati Tacopina con tutto quello che ne consegue e che abbiamo visto negli ultimi due anni. Quest’anno in particolare è stato disgraziato, sembra di essere tornati agli “anni orribili” della Spal di Pagliuso, di Butelli ecc (Ve li eravate dimenticati eh…io no), siamo destinati molto probabilmente ad una retrocessione che sinceramente ci meritiamo tutta già da dicembre/gennaio, però da tifoso spallino non posso non pensare con grande nostalgia a quel 13 maggio di sei anni fa, a quei miei occhi sognanti, di chi fin da piccolo non avrebbe mai potuto immaginare di vedere il nome della Spal scendere in campo contro Juve, Milan, Inter, Roma ecc e invece ha potuto vederlo, che si è sentito orgoglioso per aver riportato una società gloriosa dove era un tempo, di aver visto Ferrara essere ritenuta importante, una città bella e da presentare con orgoglio, una tifoseria come ce ne sono poche nel mondo ragazzi, perché basta vedere cosa è stato quest’anno e cosa hanno fatto i ragazzi della curva Ovest, roba da pelle d’oca.

Allora, i veri tifosi della Spal ci saranno anche l’anno prossimo se saremo in serie C, quando giocheremo contro Imolese, Pergolettese e non so quali altre, come quando giocavamo contro il Baracca Lugo, il Porto Tolle e il Renate e non ce ne fregava niente, con orgoglio ovunque si cantava e si urlava solamente e semplicemente “Forza Spal”.

Ed è quello che si continuerà a fare, su ogni campo anche in mezzo al fango, per portare in alto i colori che non riusciamo a staccarci di dosso e dal cuore, quelli della nostra magica Spal, della nostra Ferrara.
Non è solo una dichiarazione d’amore, ma anche un invito ai giocatori e alle magnifiche sorti societarie che vorranno portarci avanti in futuro: essere spallini è aver dentro il furore e l’amore per una città e per i colori della maglia, senza i quali non si va da nessuna parte.

E quindi, sperando di essere smentito da un miracolo per il quale ho già promesso una doppia salita alla Madonna di San Luca con maglia e sciarpa della Spal e con gli ultimi 50 metri in ginocchio, oggi e sempre un solo grido dal profondo del cuore: FORZA SPAL!!
E, con una certa dose di nostalgia, che bello fu sentire il gol di Ceravolo del Benevento quel 13 maggio di sei anni fa ☺️☺️

Invece no

Non fa una piega quello che dice, e come lo dice, il grande Paolo Nori:

https://www.paolonori.it/invece-no-3/

Ogni tanto qualcuno mi scrive Ma a me cosa me ne frega del fatto che tu vai a correre? E io potrei rispondergli E a me cosa me ne frega, del fatto che a te non te ne frega? E lui potrebbe rispondermi E a me cosa me ne frega del fatto che a te non ne frega del fatto che a me non me ne frega? Sarebbe bellissimo. Invece no.

Gianluca

Gianluca Vialli gigante azzurro. Apprezzato da tutto il gruppo, due giorni prima della finale degli Europei ha fatto un discorso da brividi a tutta la Nazionale:

“Non è colui che critica a contare, né colui che indica quando gli altri inciampano o che commenta come una certa azione si sarebbe dovuta compiere meglio. L’onore spetta all’uomo nell’arena. L’uomo il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue. L’uomo che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, sapendo che non c’è impresa degna di questo nome che sia priva di errori e mancanze. L’uomo che dedica tutto se stesso al raggiungimento di un obiettivo, che sa entusiasmarsi e impegnarsi fino in fondo e che si spende per una causa giusta. L’uomo che, quando le cose vanno bene, conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste e che, quando le cose vanno male, cade sapendo di aver osato. Quest’uomo non avrà mai un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta”

Vialli usa le parole giuste che hanno toccato l’anima dei calciatori che due giorni dopo con grinta e carattere hanno sconfitto l’Inghilterra ai rigori.

La teoria del caos, molto chiara

Giorgio Parisi sabato su Robinson (Repubblica):

I (Intervistatore): “Ma se la complessità del sistema è caratterizzata dal disordine e dalla imprevedibilità, come si può ridurla a una equazione?”

P (Parisi): “Con la meccanica statistica siamo in grado di formulare predizioni probabilistiche. Cioè non si calcola esattamente il comportamento del singolo atomo, che è perlopiù imprevedibile, ma il suo comportamento in relazione ad altre parti del sistema. Come se dicessi: non valuto l’azione del singolo individuo ma ciò che accade in relazione al resto della collettività. Calcolo la probabilità di certi comportamenti collettivi. La cosa straordinaria è che la fisica della complessità ha reso comprensibile campi di ricerca anche molto distanti”.

I: “Si tratta, in ultima analisi, dell’elogio del disordine”.

P: “Complessità e disordine vanno insieme. Il disordine è ciò che permette al sistema di arrivare all’ordine. Un sistema che fosse definito esclusivamente in base all’ordine dovrebbe allarmarci. Sono i sistemi semplici che tendono all’omologazione e l'”omologazione” – se la spostiamo sul piano sociale – conduce a forme di conformismo o peggio ancora di tirannia. La complessità è una risorsa”

Rodariani

Gianni Rodari:

“In principio la Terra era tutta sbagliata, renderla più abitabile fu una bella faticata. Per passare i fiumi non c’erano ponti. Non c’erano sentieri per salire sui monti. Ti volevi sedere? Neanche l’ombra di un panchetto. Cascavi dal sonno? Non esisteva il letto. Per non pungersi i piedi, nè scarpe nè stivali. Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali. Per fare una partita non c’erano palloni: mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni, anzi a guardare bene mancava anche la pasta.

Non c’era nulla di niente. Zero via zero, e basta.

C’erano solo gli uomini con due braccia per lavorare, e agli errori più grossi si potè rimediare. Da correggere, però, ne restano tanti: rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti”.

Una vera squadra

Julio Velasco:


“Nel mondo del lavoro delle volte non si rispettano i ruoli e si usa la famosa frase: “Ci perdo più tempo a spiegarlo che a farlo io”. Nello sport questo non esiste. Il tempo giusto, mai sprecato, è quello della spiegazione. E’ quello che definisce, che costituisce, una vera squadra”.

Il minimalismo

Molto interessante, Julio Velasco sul tema dei social:


“Io non sono nè favorevole nè contrario. Non li uso perchè faccio come il computer, che se ha troppe cose dentro poi diventa lento. Molte cose le elimino per essere più veloce per le cose che mi interessano”